martedì 25 settembre 2012

La tempesta perfetta


William Turner, La tempesta, 1842, London Tate Gallery
Alexander M. Orlando incarna con evidenza quasi cinematografica il senso del rischio che struttura il lavoro del venture capitalist. Un “capitano di ventura” che si esalta quando il mare si fa grosso e i nemici agguerriti. Il kubernetes, del resto, il timoniere è, etimologicamente, colui che deve trovare il varco attraverso le difficoltà della navigazione

Di fronte alla platea della Open Assemblea degli Stati generali dell’innovazione Orlando rappresenta il cacciatore di idee, alleato della disruption: l’innovazione che genera discontinuità. E che vede nei momenti di sofferenza economica e imprenditoriale la tempesta perfetta. Perfetto il 2002, all’indomani del dotcom crash: l’evaporazione di aziende e capitali riempie le strade di intelligenze “liquidate”, pronte a utilizzare il fallimento come materia prima per la produzione del nuovo. Perfetta l’alba del giorno dopo la crisi finanziaria, che sta travolgendo una certa ideologia dello sviluppo, ridiscute posizioni e gerarchie, e spazza via modelli di business. Come da convocazione, gli Stati generali dell’innovazione operano nella convinzione che solo elaborando idee disruptive, capaci di scardinare le cristallizzazioni, di liberare le energie sepolte dalle stratificazioni dell’abitudine, si potrà trovare il varco attraverso la tempesta perfetta.

Il discorso di Orlando è la sintesi icastica delle giornate di Bertinoro. Un brainstorming sull’innovazione, che ha incrociato esperienze e punti di vista. Un luogo per esercitarsi nella costruzione di scenari capaci di deviare il corso dell’esistente. Progettando una ristrutturazione profonda dei territori, modi diversi di fare comunità e di potenziare l’intelligenza delle relazioni. Puntando soprattutto sull’apertura, un concetto trasversale che unifica e organizza i diversi orizzonti dell’innovazione. Aperte sono le reti, i software, i dati della pubblica amministrazione, le strategie della partecipazione politica. Ma soprattutto aperte sono le visioni, i linguaggi, le possibilità di immaginazione. Si afferma la necessità e l’ambizione di costruire una nuova antropologia culturale. Chiamata ad abbandonare una certa idea umanistica di valore assoluto, e ad affrontare la complessità e la pervasività dei dispositivi che determinano l’esistenza e che rappresentano una vera e propria sfida alla centralità dell’umano.

La disponibilità delle risorse è maggiore delle idee in circolazione, dice Orlando recitando il mantra dell’investitore. Ma si potrebbe tradurre: la tempesta che stiamo attraversando promette passaggi che aspettano di essere inventati


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