mercoledì 5 dicembre 2012

I gingilli di Stiv


“i” è la sesta voce del Dizionario controfattuale dell’innovazione di Matteo Pelliti. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità. Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare, parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario puntuale come il mercoledí, tutti i mercoledí, in collaborazione con Il Bureau.


     

    I, porpora, sangue sputato, riso di labbra belle
nella collera o nelle ebbrezze penitenti
Arthur Rimbaud, Vocali

i
Le vocali colorate di Rimbaud non spiegheranno, forse, l’origine segreta e la fortuna pervasiva che la “i” incontra nell’accompagnare i nomi di tutti i prodotti piú innovativi che “una nota azienda di Cupertino” ha ideato e prodotto negli ultimi anni (iMac, iPod, iPhone, iPad, iTunes, iOS, iLife, iBooks, iCloud…). Fortunatamente nella guerra dei brevetti non è caduta pure questa vocale, altrimenti i giudici (Coreani? Americani?) avrebbero avuto qualche difficoltà a risalire all’origine prima, grafica e fonetica, del simbolo “i” (pare scarseggino, infatti, testimoni fenici viventi). Cosa significa oggi quella “i”? Interactive, in senso stretto e corrente, sembrerebbe una risposta possibile. La polisemia evocata dalla “i” (Internet, Innovazione, Interattività, Io…) segnò la fortuna della vocale almeno dal 1998 in poi, anno della produzione del primo iMac, disegnato dal giovane Sir Jonathan Ive (Chingford, 1967) responsabile del design di altri prodotti successivi e analogamente vocalizzati dall’iniziale del suo cognome. In principio, verosimilmente, la “I” stava per “Internet”, suggerendo la facilità di connessione alla rete di quel televisore futuribile di plastica colorata che era l’iMac. Per un breve periodo una “i” triplicata divenne programma politico di italica riforma nazionale (Internet, Inglese, Impresa) il cui insuccesso è ancora difficilmente quantificabile in termini di PIL. Qualunque cosa voglia dire oggi la “i” che compone i nomi, giustamente protetti commercialmente, di quei meravigliosi gingilli elettronici mantiene un fascino che risalta grazie al suo minuscolo, rispetto alla maiuscola della particella che la segue: nessuno avrebbe comprato un IPOD  mentre  iPod  fu, immediatamente, irresistibile.

i-Thinking
Storiella monovocalica sull’innovazione in salsa Apple

I gingilli di Stiv, rifiniti, lisci, i primi tipi di invincibili missilini di bit, li vidi. In inizi irrisi, di chip in chip, i gingillini, finiti in Inc., ridipinti in infiniti dipinti di Sir, li rimiri: in filmini fittizi (clip) in tipici link, in tintinnii timbrici di silici, in scrigni piccini, in mini dischi rigidi, in sibili di Siri, in incipit sibillini: “I think”. Vissi gli IBM insipidirsi e l’imprinting di Bill intirizzirsi in striminziti sinistri fili di Win 3.1.
Hi hi hi, gli indicibili impicci di diritti ricchissimi, i litigi fitti! (simili simili, indivisibili, vicini i filippini: il “pinch” ). L’i-Thinking, Stiv, l’instilli fin in piccini, i citti, li titilli di brividi libidici in siti mistici, in scritti di Wiki di divini primitivi, in ministri di MIT, li sigilli in birilli cilindrici: dividi i criticismi, li mitighi. I gingilli di Stiv, rifiniti, lisci, limpidissimi, sí, li vidi.

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