domenica 20 gennaio 2013

I libri dei politici: il medium è il messaggio

Paolo Gervasi

Questo testo è stato pubblicato il 19 gennaio su Il Bureau.  


Se è vero che ogni crisi del libro si è presentata ciclicamente con le insegne dell’apocalisse, le difficoltà attuali del sistema editoriale presentano elementi di complessità mai sperimentati prima. Non si tratta soltanto di una sofferenza commerciale: in crisi stavolta è la funzione del libro, che rapidamente perde centralità e influenza nel sistema dei media. Assediato dalla pressione dei flussi informativi il libro si rifugia ai margini dell’universo digitale, in uno spazio in cui la tensione comunicativa si allenta e lascia respirare la sua lentezza analogica. Inseguendo la velocità dei dispositivi più giovani il libro tenta forme di ibridazione, cerca di catturare frammenti del discorso mediale, imita i linguaggi degli altri media e prende in prestito personaggi “cresciuti” altrove. Per sopravvivere il libro sdoppia la propria natura, sfrutta bagliori di luce riflessa, proponendosi come segmento di un circuito comunicativo e commerciale più ampio. E arrivando così a coincidere con il ritratto che McLuhan faceva del giornale a metà degli anni Sessanta: un mosaico, un medium che intercetta porzioni di interesse prodotte dagli altri media, la TV, la radio, il cinema e naturalmente, oggi, l’eco potente della rete.

A questa forma di ibridazione appartiene anche il fenomeno dei libri dei politici. L’editoria insegue i politici per garantirsi spazi di attenzione aperti dal discorso sull’attualità. Allo stesso tempo però l’editoria politica rivela la tenuta di una funzione simbolica che restituisce al libro una sorta di centralità di ritorno. I politici si fanno tentare volentieri dallo specchio narcisistico della copertina nel quale ammirare il proprio nome, e spesso il proprio volto. Sempre di più i momenti decisivi della carriera di un politico sono contrappuntati dalla pubblicazione di un libro.

Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha lanciato la propria campagna per le primarie pubblicando per Rizzoli Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter. Un libro che probabilmente non ha conquistato la critica, ma che ha sintetizzato come in un manifesto la disinvoltura pop con la quale Renzi intendeva declinare la tradizione, politica e culturale. Mario Monti è attualmente in libreria con due volumi, pubblicati entrambi nel novembre del 2012: Le parole e i fatti, scritto con Federico Fubini, e La democrazia in Europa, scritto con l’eurodeputato francese Sylvie Goulard. L’offensiva editoriale montiana porta a riconsiderare anche la tempistica delle dimissioni e della candidatura, insinuando il dubbio di dover retrodare di qualche settimana la sofferta decisione della salita in politica. Del resto il profilo di Monti “scrittore” conferma ed estende quello del politico: sobrietà, rigore, pragmatismo, competenza tecnica, collocazione internazionale.

La politica editoriale di Grillo è perfettamente in linea con la strategia autarchica, di alterità radicale, che ispira la proposta politica del M5S. Di più: il fenomeno Grillo nasce come una sperimentazione editoriale, come la creazione di una piattaforma comunicativa costruita per rispondere alla chiusura degli spazi tradizionali. La produzione di libri e dvd, pensata come un segmento del sistema-Grillo, forma insieme al blog e agli spettacoli live (ai quali si sono sostituiti i comizi politici) un continuum “blindato” di proposte integrate, che resiste, generando la coflittualità violenta che sperimentiamo quotidianamente, ai tentativi di penetrazione da parte degli altri media, pubblici e privati.

A sinistra la passione per la scrittura sembra rispondere, più che alle esigenze della visibilità, ai tempi travolgenti dell’ispirazione. In primo piano non ci sono i libri di analisi politica, ma la “letteratura”: incontrastata si staglia la figura del romanziere Walter Veltroni, al quale il suo collega Christian Raimo ha dedicato ostinate analisi filologiche. Seppure probabilmente la lingua stereotipata e l’immaginario infantile di Veltroni non interessano in quanto letterariamente sbagliati, come risultano sotto la lente di Raimo, che segnala con acribia gli “errori” e gli orrori stilistici. Interessano, al contrario, proprio perché sono giusti, e forse mantenuti nell’orizzonte dello stereotipo da un sapiente ghost writing, che a quella lingua e a quell’immaginario affida la funzione comunicativa e, in senso lato, politica del libro. Emulo di Veltroni, anche Dario Franceschini frequenta la narrativa. Il realismo magico di Franceschini affianca il realismo vaticanosecondo di Veltroni, e crea un universo popolare, con accenti che mimano le storie degli ultimi di De André, filtrate dal buonismo militante di Fabio Fazio. La scrittura è veltronianamente impalpabile, il destino è quello di un epigonismo veltroniano che, se era triste politicamente, dal punto di vista letterario diventa straziante.

Il proverbiale narcisismo dalemiano ha prodotto titoli di analisi politica e di ricostruzione storica, tra i quali Il mondo nuovo. Riflessioni per il Partito Democratico. Il titolo fantascientifico, che richiama l’utopia tecnocratica immaginata da Aldous Huxley, suona vagamente autolesionistico, nonché beffardo alla luce del recente passo indietro che i venti di rinnovamento hanno imposto al lìder maximo. Un mondo nuovo, sì: ma senza D’Alema.
I due soli titoli firmati dal leader e candidato premier Bersani (Viaggio nell’economia italiana, scritto con Enrico Letta nel 2004, e il recente Per una buona ragione) puntano sulla competenza, sul pragmatismo dell’analisi economica, su una schietta sobrietà, sostenuta da un basso profilo mediatico che conferma la strategia comunicativa dell’anticomunicatore, impugnata sempre più consapevolmente da Bersani. Nichi Vendola, l’unico politico che abbia tentato a sinistra una via carismatica alla leadership, firma titoli e copertine evocativi, coerenti con il linguaggio barocco che le sue visionarie “fabbriche” gli hanno costruito addosso. Ma Vendola, si sa, prima di tutto è un poeta: le sue raccolte di versi sono funzionali alla rappresentazione del leader sognatore, realista perché chiede l’impossibile. Purtroppo per Nichi però la poesia respinge le mistificazioni, è un luogo di rigorosa verifica del linguaggio: e i suoi versi svelano inequivocabilmente l’artificio e la frequente inautenticità delle sue architetture verbali.


A destra si trovano spiazzanti tentativi saggistici come quello di Cicchitto, che ripercorre la storia della sinistra italiana “da Gramsci a Bersani”. La bibliografia di Sandro Bondi è addirittura vertiginosa: all’attività del poeta imperiale, che con i suoi ritratti in versi di favorite e cortigiani ha segnato il punto estremo della rivoluzione culturale del berlusconismo, si affiancano audaci escursioni intellettuali. La cultura è libertà, afferma Bondi nel 2011: un titolo quasi autoironico se si pensa all’esperienza di Bondi ministro poco liberamente dimissionato. Ancora nel dominio del comico e dell’autosatira si collocano titoli come La civiltà dell’amore. Politica e potere al femminile, oppure Io, Berlusconi, le donne, la poesia, che echeggia l’ariostesco incipit del Furioso: le donne, i cavalier, l’armi, gli amori. Ma non c’è più molto da ridere quando con un libro come Il sole in tasca Bondi associa la figura di Adriano Olivetti a quella di Silvio Berlusconi. Una vera e propria impostura storiografica che per fini propagandistici banalizza le idee di Olivetti accostando la sua imprenditoria sociale e civile al capitalismo rapace e criminogeno di Berlusconi.

In fatto di intrecci tra editoria e politica la figura di Berlusconi eccede quella di tutti gli altri politici-scrittori. Da editore controlla, per attenersi soltanto ai libri, due delle case editrici più importanti del Paese, Mondadori ed Einaudi, i cui prestigiosi cataloghi hanno conosciuto negli ultimi anni impercettibli ma sostanziali perturbazioni. Dell’Utri, ispiratore del progetto politico berlusconiano, è un raffinato collezionista di libri antichi, un bibliofilo la cui passione libraria proietta l’unica ombra vagamente drammatica di contraddizione intellettuale sulla farsa tutta in luce del ventennio berlusconiano.
Da “scrittore” Berlusconi firma due prefazioni che, se lette tempestivamente con attenzione, avrebbero rivelato della parabola storica del berlusconismo più di qualunque analisi politologica, sociologica o semiotica. Nel 1994, l’anno della prima discesa in campo, Berlusconi introduce un’edizione del trattato di Machiavelli sul principato, e una dell’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Il realismo politico di Machiavelli e il rovesciamento del senso comune di Erasmo vengono piegati alle esigenze del disegno berlusconiano: paradossale miscuglio di machiavellismo deteriore e “follia” istituzionale. La prefazione di Berlusconi al Principe si allinea a quelle di altri due “statisti” che hanno scelto di misurare le proprie ambizioni e i propri sogni di trasformazione dell’Italia sulle parole di Machiavelli, il primo teorico politico moderno: Mussolini e Craxi.


Negli anni Venti Piero Gobetti, editore perseguitato dal nascente regime fascista, pubblicava i libri di Luigi Einaudi, strumenti di militanza politica che si inserivano nel contesto dell’attualità, ma rappresentavano elaborazioni culturali destinate a durare. Oggi qualche sussulto epocale lo consegnano i titoli dei libri di Cossiga: il provocatorio Fotti il potere, uscito nel 2010, oppure la controstoria d’Italia Italiani sono sempre gli altri, sintesi folgorante dell’eterna inclinazione italiana alla dissociazione, e dei guasti sociali e politici che ha prodotto.

In definitiva nel contesto politico i libri continuano a svolgere una funzione simbolica non secondaria: riverberano sull’autore un prestigio intellettuale di sapore novecentesco, e lavorano a una occupazione degli spazi che allarga lo spettro della visibilità pubblica. Intorno al libro si struttura una ritualità sociale che genera un effetto di eco: così funzionano i libri di Vespa, che all’utilissimo ruolo di strenna natalizia abbinano la risonanza mediatica, trasformando le presentazioni in comizi e conferenze stampa. I libri dei politici, per questa tendenza a farsi vettori di esposizione e comunicazione, sono per lo più meteore che durano il tempo di una transizione politica o di una campagna elettorale. Diventano fantasmi bibliografici, disattivati, superati, spesso incomprensibili se non ricondotti al contesto della pubblicazione. La funzione comunicativa inclusa nel libro prescinde integralmente dal contenuto, e conferma un’altra delle celebri intuizioni di Marshall McLuhan: il medium è il messaggio.

Nessun commento:

Posta un commento