mercoledì 30 gennaio 2013

La startup è quella cosa

“Startup” è la tredicesima voce del Dizionario controfattuale dell’innovazione di Matteo Pelliti. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità. Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare, parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario puntuale come il mercoledí, tutti i mercoledí, in collaborazione con Il Bureau.

 

Quanti granelli di sabbia ci vogliono per fare un mucchio di sabbia?

Ecco il decollare di un’impresa, il verbo farsi sostantivo e fare delle startup le nuove attività imprenditoriali che, quasi per antonomasia, lavorano tutte, sempre e solo, nel campo dell’innovazione tecnologica. Anche Google, da piccolo, è stato una startup. Mai che si legga di una startup dedicata all’allevamento delle lumache, alla riparazione degli ombrelli, o una startup di pompe funebri, no. Eppure le startup hanno un “alto tasso di mortalità”, sono imprese che nascono, rischiano e, spesso, s’inabissano senza lasciare traccia di sé. Sempre e comunque tecnologia, incubatori tecnologici, formule contenitive e generative (farete caso che startup e spin-off si trovano spesso insieme, dentro appositi incubatori, in una retorica ormai molto densa che racconta del circolo virtuoso tra ricerca e impresa, università ed economia…). E mai una startup fondata da vecchietti che, come si sa, hanno problemi di deambulazione, di sollevamento, e di apertura di credito finanziario. È interessante osservare che il termine ha ricevuto legittimazione recentissima da parte del Legislatore che deve essersi posto lo stesso paradosso del “sorite” che evocavo: quanti granelli di sabbia fanno un mucchio di sabbia? Cosa definisce, “per legge”, la denominazione “startup”? Il cosiddetto “Decreto Crescita” dell’ottobre 2012 (il presente lemma, quindi, soffrirà di recentismo) ha fissato dei parametri, di data di nascita, di fatturato, di residenza. Eppure vi è un modo alternativo per definire piú efficacemente questa forma d’impresa, al di là del Grande Regolatore che è l’uso di un termine nel linguaggio comune, o la definizione normativa che una legge può fornirci: sono i versi maltusiani.

La startup è quella cosa
molto smart e che intraprende,
se non sai cosa ti vende
poi fallisce in un balen.

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